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atto secondo | 195 |
SCENA VI
Marzia, Emilia e Fulvio.
Emilia. Lode agli dèi! La fuggitiva speme
a Marzia in sen giá ritornar si vede.
Fulvio. Ne fa sicura fede
la gioia a noi, che le traspare in volto.
Marzia. Noi niego, Emilia. È stolto
chi non sente piacer, quando, placato
l’altrui genio guerriero,
può sperar la sua pace il mondo intero.
Emilia. Nobil pensier, se i pubblici riposi
di tutti i voti tuoi sono gli oggetti.
Ma spesso avvien che questi
siano illustri pretesti,
ond’altri asconda i suoi privati affetti.
Marzia. Credi ciò che a te piace: io spero intanto;
e alla speranza mia
l’alma si fida, e i suoi timori obblia.
Emilia. Or va’, di’ che non ami. Assai ti accusa
l’esser credula tanto: è degli amanti
questo il costume. Io non m’inganno; e pure
la tua lusinga è vana,
e sei da quel che speri assai lontana.
Marzia. In che ti offende,
se l’alma spera,
se amor l’accende,
se odiar non sa?
Perché spietata
pur mi vuoi togliere
questa sognata
felicitá?
Tu dell’amore
lascia al cor mio,