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atto terzo 217


SCENA IV

Cesare.

Del rivale all’aita
or che Marzia abbandono ed or che il fato
mi divide da lei, non so qual pena
incognita finor m’agita il petto.
Taci, importuno affetto:
no, fra le cure mie luogo non hai,
se a piú nobil desio servir non sai.
               Quell’amor che poco accende,
          alimenta un cor gentile,
          come l’erbe il nuovo aprile,
          come i fiori il primo albor.
               Se tiranno poi si rende,
          la ragion ne sente oltraggio,
          come l’erba al caldo raggio,
          come al gelo esposto il fior. (parte)

SCENA V

Acquedotti antichi, ridotti ad uso di strada sotterranea, che conducono dalla cittá alla marina, con porta chiusa da un lato del prospetto.

Marzia.

Pur veggo alfine un raggio
d’incerta luce infra l’orror di queste
dubbiose vie: ma non ritrovo il varco
 (guardando attorno)
che al mar conduce. Orma non v’è che possa
additarne il sentier. Mi trema in petto
per téma il cor. L’ombre, il silenzio, il grave
fra questi umidi sassi aere ristretto