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atto primo | 263 |
Ezio. Se fedele mi brama il regnante,
non offenda quest’anima amante
nella parte piú viva del cor.
Non si lagni se in tanta sventura
un vassallo non serba misura,
se il rispetto diventa furor. (parte)
SCENA XII
Onoria e Fulvia.
Fulvia. A Cesare nascondi,
Onoria, i suoi trasporti. Ezio è fedele:
parla cosí da disperato amante.
Onoria. Mostri, Fulvia, al sembiante
troppa pietá per lui, troppo timore.
Fosse mai la pietá segno d’amore?
Fulvia. Princepessa, m’offendi. Assai conosco
a chi deggio l'affetto.
Onoria. Non ti sdegnar cosí: questo è un sospetto.
Fulvia. Se prestar si dovesse
tanta lede ai sospetti, Onoria ancora
dubitar ne faria. Ben da’ tuoi sdegni,
come soffri un rifiuto, anch’io m’avvedo:
dovrei crederti amante, e pur nol credo.
Onoria. Anch’io, quando m’oltraggi
con un sospetto al fasto mio nemico,
dovrei dirti «arrogante», e pur nol dico.
Ancor non premi il soglio,
e giá nel tuo sembiante
sollecito l’orgoglio
comincia a comparir.
Cosí tu mi rammenti,
che i fortunati eventi
son piú d’ogni sventura
difficili a soffrir. (parte)