Pagina:Metastasio, Pietro – Opere, Vol. I, 1912 – BEIC 1883676.djvu/381

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varianti 375


d’una femmina imbelle,
che tanto ammira i pregi suoi, che tanto...
Oh Dio! Pur nel mirarti
la prima volta io m’ingannai... Mi parve
placido il tuo sembiante,
pietoso il ciglio, il ragionar cortese.
Spiegai la tua clemenza,
come se fosse... Eh! rammentar non giova
le mie folli speranze, i sogni miei,
ché troppo è manifesto
quale io son, qual tu sei.
Alessandro.  (Che assalto é questo!)
Cleofide. Non domando i miei regni,
non spero il tuo favor: tanto non oso
nello stato infelice in cui mi vedo.
Non chiamarmi nemica: altro non chiedo.
Alessandro. Nell’udirti, o regina,
sí accorta ragionar, vere le accuse
credei talvolta, e meditai le scuse.
Ma il timore ingegnoso,
i tronchi accenti, e le confuse ad arte
rispettose querele, armi bastanti
non son per tua difesa. Io da’ tuoi regni
allontanar non feci
le mie schiere temute e vincitrici
per lasciarti un asilo a’ miei nemici...
Tu di Poro in soccorso,
tu contro me...
Cleofide.  Che ascolto!
Sei tu che parli? E mi sará delitto
l’aver pietá d’un infelice amico?
E tua virtú privata
forse l’usar pietá? Ne usurpo forse
la tua ragion, quando t’imito? Ah! sia
Cleofide infelice,
se questo è fallo. Avrá la gloria almeno
che il gran cor d’Alessandro
seppe imitar. Si perda
regno, sudditi e vita;
non questo pregio: inonorata a Dite