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72 i - didone abbandonata


     ché non tagli, ché stia cheto,
     gli risponde, e dice bene:
     — Signor mio, non v’è riparo:
     io qui spendo il mio denaro;
     voglio dir quel che mi par. —
Nibbio. Signora, il suo gran merito
non sta soggetto a critica.
Dorina. Quello che piú mi turba è che nell’opera
ho una scena agitata,
che finge Cleopatra incatenata;
e temo che la collera
m’abbia pregiudicata nella voce.
Nibbio. Ed io, per mia disgrazia,
questa sera ho un impegno,
che mi toglie il piacere
di poterla vedere.
Dorina.  Oh! mi dispiace:
l’approvazion di lei
gradita mi saria.
Nibbio. Potrebbe in grazia mia
farmi godere una scenetta a solo?
Dorina. Lo farei volentier; ma, senza i lumi,
senza scene, istrumenti, e a pian terreno,
manca l’azione e comparisce meno.
Nibbio. Questo non dá fastidio: si figuri
che qui l’orchestra suoni
co’ soliti violini e violoni,
e che sia questa stanza
il fondo d’una torre, o quel che vuole.
Esca pur Cleopatra,
porti seco la perla e l’antimonio:
io son qui, se bisogna, un Marc’Antonio.
Dorina. Non occorre, ché il fatto non è quello:
è una lite che avea con suo fratello.
Nibbio. Sará per me bastante
la parte d’ascoltante.