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88 i - didone abbandonata


Iarba. Pria saprai la vendetta, e poi l’offesa.
Selene. (Che mai sará?)
Osmida. (piano a Iarba) Signore,
le tue schiere son pronte. È tempo alfine
che vendichi i tuoi torti.
Iarba.  Araspe, andiamo.
Araspe. Io sieguo i passi tuoi.
Osmida.  Deh! pensa, allora
che vendicato sei,
che la mia fedeltá premiar tu déi.
Iarba. È giusto; anzi preceda
la tua mercede alla vendetta mia.
Osmida. Generoso monarca...
Iarba.  Olá! costui
si disarmi e s’uccida.
 (alcune delle guardie di Iarba disarmano Osmida)
Osmida. Come! Questo ad Osmida?
Qual ingiusto furore...
Iarba. Quest’è il premio dovuto a un traditore. (parte)
Osmida. Parla, amico, per me; fa’ ch’io non resti
cosí vilmente oppresso. (ad Araspe)
Araspe. Non fa poco chi sol pensa a se stesso. (parte)
Osmida. Pietá, pietá, Selene. Ah! non lasciarmi
in sí misero stato e vergognoso!
Selene. Qualche volta è viltá l’esser pietoso.
 (partendo, s’incontra in Enea)

SCENA VII [V]

Enea con séguito, e detti.

Enea. Principessa, ove corri?
Selene.  A te ne vengo.
Enea. Vuoi forse... Oh ciel, che miro!
 (vedendo Osmida tra’ mori)
Osmida.  Invitto eroe,
vedi, all’ira di Iarba...
Enea.  Intendo. Amici,
in soccorso di lui l’armi volgete.
(alcuni troiani vanno incontro a’ mori, i quali, lasciando Osmida, fuggono difendendosi)