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atto primo 103


notte funesta infra i silenzi e l’ombre
assicurò la colpa un’alma ingrata.
Artabano. Oh insana, oh scellerata
sete di regno! E qual pietá, qual santo
vincolo di natura è mai bastante
a frenar le tue furie?
Artaserse.  Amico, intendo:
è l’infedel germano,
è Dario il reo.
Artabano.  Chi mai potea la reggia
notturno penetrar? Chi avvicinarsi
al talamo real? Gli antichi sdegni,
il suo torbido genio avido tanto
dello scettro paterno... Ah! ch’io prevedo
in periglio i tuoi giorni:
guárdati per pietá. Serve di grado
un eccesso talvolta a un altro eccesso.
Vendica il padre tuo; salva te stesso.
Artaserse. Ah! se v’è alcun che senta
pietá d’un re trafitto,
orror del gran delitto,
amicizia per me, vada, punisca
il parricida, il traditor.
Artabano.  Custodi,
vi parla in Artaserse
un prence, un figlio; e, se volete, in lui
vi parla il vostro re. Compite il cenno:
punite il reo. Son vostro duce; io stesso
reggerò l’ire vostre, i vostri sdegni.
(Favorisce fortuna i miei disegni.)
Artaserse. Ferma! Ove corri? Ascolta.
Chi sa che la vendetta
non turbi il genitor piú che l’offesa?
Dario è figlio di Serse.
Artabano.  Empio sarebbe
un pietoso consiglio:
chi uccise il genitor non è piú figlio.