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124 vii - artaserse


SCENA III

Artabano, poi Megabise.

Artabano. I tuoi deboli affetti
vinci, Artabano. Un temerario figlio
s’abbandoni al suo fato. Ah! che nel core
condannarlo non posso. Io l’amo appunto
perché non mi somiglia. A un tempo istesso
e mi sdegno e l’ammiro,
e d’ira e di pietá fremo e sospiro.
Megabise. Che fai? che pensi? Irresoluto e lento,
signor, cosí ti stai? Non è piú tempo
di meditar, ma d’eseguir. Si aduna
de’ satrapi il Consiglio; ecco raccolte
molte vittime insieme. I tuoi rivali
lá troveremo uniti. Uccisi questi,
piana è per te la via del trono. Arbace
a liberar si voli.
Artabano.  Ah, Megabise,
che sventura è la mia! Ricusa il figlio
e regno e libertá. De’ giorni suoi
cura non ha: perde se stesso e noi.
Megabise. Che dici!
Artabano.  Invan finora
con lui contesi.
Megabise.  A liberarlo a forza
al carcere corriamo.
Artabano.  Il tempo istesso,
che perderemo in superar la fede
e il valor de’ custodi, agio bastante
al re dará di preparar difese.
Megabise. È ver. Dunque Artaserse
prima si sveni, e poi si salvi Arbace.
Artabano. Ma rimane in ostaggio
la vita del mio figlio.