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atto secondo 135


Arbace. (Gelo d’orror!)
Artabano.  Che pensi? Ammiri forse
la mia costanza?
Arbace.  Inorridisco, o padre,
nel mirarti in quel luogo e ripensando
qual io son, qual tu sei. Come potesti
farti giudice mio? Come conservi
cosí intrepido il volto, e non ti senti
l’anima lacerar?
Artabano.  Quai moti interni
io provi in me, tu ricercar non devi,
né quale intelligenza
abbia col volto il cor. Qualunque io sia,
lo son per colpa tua. Se a’ miei consigli
tu davi orecchio, e seguitar sapevi
l’orme d’un padre amante, in faccia a questi
giudice non sarei, reo non saresti.
Artaserse. Misero genitor!
Mandane.  Qui non si venne
i vostri ad ascoltar privati affanni:
o Arbace si difenda o si condanni.
Arbace. (Quanto rigor!)
Artabano.  Dunque alle mie richieste
risponda il reo. Tu comparisci, Arbace,
di Serse l’uccisor: ne sei convinto.
Ecco le prove: un temerario amore,
uno sdegno ribelle...
Arbace.  ...il ferro, il sangue,
il tempo, il luogo, il mio timor, la fuga,
so che la colpa mia fanno evidente:
e pur vera non è; sono innocente.
Artabano. Dimostralo, se puoi; placa lo sdegno
dell’offesa Mandane.
Arbace.  Ah! se mi vuoi
costante nel soffrir, non assalirmi
in sí tenera parte. Al nome amato,
barbaro genitor...