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138 vii - artaserse


               Arbace. Per quel paterno amplesso,
          per questo estremo addio
          conservami te stesso,
          placami l’idol mio,
          difendimi il mio re.
               Vado a morir beato,
          se della Persia il fato
          tutto si sfoga in me.
(parte fra le guardie, seguito da Megabise, e partono i grandi)

SCENA XII

Mandane, Artaserse, Semira ed Artabano.

Mandane. (Ah! che al partir d’Arbace
io comincio a provar che sia la morte.)
Artabano. A prezzo del mio sangue, ecco, o Mandane,
soddisfatto il tuo sdegno.
Mandane.  Ah, scellerato!
fuggi dagli occhi miei; fuggi la luce
delle stelle e del sol! Cèlati, indegno,
nelle piú cupe e cieche
viscere della terra;
se pur la terra istessa a un empio padre,
così d’umanitá privo e d’affetto,
nelle viscere sue dará ricetto.
Artabano. Dunque la mia virtú...
Mandane.  Taci, inumano!
Di qual virtú ti vanti?
Ha questa i suoi confini; e, quando eccede,
cangiata in vizio ogni virtú si vede.
Artabano. Ma non sei quell’istessa
che finor m’irritò?
Mandane.  Son quella, e sono
degna di lode. E, se dovesse Arbace
giudicarsi di nuovo, io la sua morte