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150 vii - artaserse

SCENA VII

Arbace e poi Mandane.

Arbace. Né pur qui la ritrovo. Almen vorrei
dell’amata Mandane
calmar gli sdegni e l’ire,
rivederla una volta e poi partire.
In piú segreta parte
forse potrò... Ma dove
temerario m’inoltro? Eccola, oh dèi!
Ardir non ho di presentarmi a lei.
 (si ritira in disparte, inosservato)
Mandane. Olá! non si permetta in queste stanze
a veruno l’ingresso.
(ad un paggio, il quale, ricevuto l’ordine, rientra per la scena donde è uscito Arbace)
 Eccovi alfine,
miei disperati affetti,
eccovi in libertá. Del caro amante
versai, barbara, il sangue. Il sangue mio
è tempo di versar. (impugna uno stilo, in atto d’uccidersi)
Arbace.  Férmati.
Mandane. (vedendo Arbace, le cade lo stilo) Oh Dio!
Arbace. Quale ingiusto furor...
Mandane.  Tu in questo luogo!
Tu libero! Tu vivo!
Arbace.  Amica destra
i miei lacci disciolse.
Mandane.  Ah, fuggi! ah, parti!
Misera me! che si dirá, se alcuno
qui ti ritrova? Ingrato!
lasciami la mia gloria.
Arbace.  E chi poteva,
mio ben, senza vederti,
la patria abbandonar?