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atto terzo 155


SCENA ULTIMA

Arbace e detti.

Artabano. Ecco Arbace, o monarca, a’ piedi tuoi.
Artaserse. Vieni, vieni al mio sen. Perdona, amico,
s’io dubitai di te. Troppo è palese
la tua bella innocenza. Ah! fa’ ch’io possa
con franchezza premiarti. Ogni sospetto
nel popolo dilegua, e rendi a noi
qualche ragion del sanguinoso acciaro,
che in tua man si trovò, della tua fuga,
del tuo tacer, di quanto
ti fece reo.
Arbace.  S’io meritai, signore,
qualche premio da te, lascia ch’io taccia.
Il mio labbro non mente.
Credi a chi ti salvò: sono innocente.
Artaserse. Giuralo almeno, e l’atto
terribile e solenne
faccia fede del vero. Ecco la tazza
al rito necessaria. Or, seguitando
della Persia il costume,
vindice chiama e testimonio un nume.
Arbace. Son pronto. (prende in inano la tazza)
Mandane.  (Ecco il mio ben fuor di periglio.)
Artabano. (Che fo? Se giura, avvelenato è il figlio.)
Arbace. «Lucido dio, per cui l’april fiorisce,
per cui tutto nel mondo e nasce e muore»...
Artabano. (Misero me!)
Arbace.  ... «se il labbro mio mentisce,
si cangi entro il mio seno
la bevanda vital»... (in atto di voler bere)
Artabano.  Ferma! è veleno.