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156 vii - artaserse


Artaserse. Che sento!
Arbace.  Oh dèi!
Artaserse.  Perché sinor tacerlo?
Artabano. Perché a te l’apprestai.
Artaserse.  Ma qual furore
contro di me?
Artabano.  Dissimular non giova:
giá mi tradí l’amor di padre. Io fui
di Serse l’uccisore. Il regio sangue
tutto versar volevo. È mia la colpa,
non è d’Arbace. Il sanguinoso acciaro
per celarlo io gli diedi. Il suo pallore
era orror del mio fallo. Il suo silenzio
pietá di figlio. Ah! se minore in lui
la virtú fosse stata o in me l’amore,
compivo il mio disegno;
e involata t’avrei la vita e ’l regno.
Arbace. (Che dice!)
Artaserse.  Anima rea! m’uccidi il padre;
della morte di Dario
colpevole mi rendi: a quanti eccessi
t’indusse mai la scellerata speme!
Empio! morrai.
Artabano.  Noi moriremo insieme.
 (snuda la spada, e seco Artaserse in atto di difesa)
Arbace. (Stelle!)
Artabano.  Amici, non resta
che un disperato ardir. Mora il tiranno!
 (le guardie sedotte si pongono in atto di assalire)
Arbace. Padre, che fai?
Artabano.  Voglio morir da forte.
Arbace. Deponi il ferro o beverò la morte. (in atto di bere)
Artabano. Folle! che dici?
Arbace.  Se Artaserse uccidi,
no, piú viver non devo.
Artabano. Eh! lasciami compir... (in atto di assalire)