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atto terzo 157


Arbace.  Guardami, io bevo. (in atto di bere)
Artabano. Férmati, figlio ingrato!
Confuso, disperato,
vuoi che per troppo amarti un padre cada?
Vincesti, ingrato figlio: ecco la spada.
(getta la spada, e le guardie sollevate si ritirano fuggendo)
Mandane. Oh fede!
Semira.  Oh tradimento!
Artaserse.  Olá! seguite
i fugaci ribelli, ed Artabano
a morir si conduca.
Arbace.  Oh Dio! fermate.
Signor, pietá.
Artaserse.  Non la sperar per lui:
troppo enorme è il delitto. Io non confondo
il reo coll’innocente. A te Mandane
sará sposa, se vuoi; sará Semira
a parte del mio trono:
ma per quel traditor non v’è perdono.
Arbace. Toglimi ancor la vita. Io non la voglio,
se per esserti fido,
se per salvarti, il genitore uccido.
Artaserse. Oh virtú che innamora!
Arbace.  Ah! non domando
da te clemenza: usa rigor; ma cambia
la sua nella mia morte. Al regio piede, (s’inginocchia)
chi ti salvò, ti chiede
di morir per un padre. In questa guisa
s’appaghi il tuo desio:
è sangue d’Artabano il sangue mio.
Artaserse. Sorgi, non piú. Rasciuga
quel generoso pianto, anima bella.
Chi resister ti può? Viva Artabano.
ma viva almeno in doloroso esiglio;
e doni il tuo sovrano
l’error d’un padre alla virtú d’un figlio.