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atto secondo 185


Adriano.   Come! Supponi...

Qual è dunque il mio bene?
Sabina.   Ah! non celarmi
quell’onesto rossor. Tu non sai quanto
grato mi sia. Non arrossisce in volto
chi non vede il suo fallo; e chi lo vede
è vicino all’emenda.
Adriano.   Oh Dio!
Sabina.   Sospiri?
Lascia me sospirar. Numi del cielo,
chi creduto l’avria! L’onor di Roma,
l’esempio degli eroi, la mia speranza,
Adriano incostante!
È possibile? E ver? Chi ti sedusse?
Parla, di’, come fu?
Adriano.   Che vuoi ch’io dica,
se tutto mi confonde? Ah! lascia queste
moderate querele.
Dimmi pure infedele,
chiamami traditor, sfògati. Io veggo
c’hai ragion d’insultarmi. I merti tuoi,
gli scambievoli affetti
le cento volte e cento
replicate promesse io mi rammento.
Ma che pro? Non son mio. Conosco, ammiro
la tua virtú, la tua bellezza, e pure...
sol ch’io vegga... Ah! Sabina, odio me stesso
per l’ingiustizia mia. So ch’è dovuta
una vendetta a te. Vuoi la mia morte?
Svenami: è giusto. Io non m’oppongo. Aspiri
a svellermi dal crin l’augusto alloro?
Lo depongo in tua man. Saria felice
suddito a sí gran donna il mondo intero.
Sabina. Ah! domando il tuo core e non l’impero.
Adriano. Era tuo questo cor. S’io lo difesi,
se a te volli serbarlo,