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220 | viii - adriano in siria |
non punisce i falli sui;
ma giustifica l’altrui
con la propria infedeltá. (parte)
[Nella scena XII è fusa anche la XIII della redazione detinitiva.]
SCENA XIII
Sabina, poi Adriano, indi Aquilio, tutti con séguito.
se sia salvo il mio sposo! Aquilio, ah! dove,
dov’è Cesare?
Aquilio. Almeno
lasciami respirar.
Sabina. Dove s’aggira?
Parla.
Aquilio. Ma s’io nol so!
Sabina. Questo è lo stile
del gregge adulator, che adora il trono,
non il monarca. Infin ch’è il ciel sereno,
tutti gli siete intorno e lo seguite;
se s’intorbida il ciel, tutti fuggite.
Aquilio. Eccolo. Non sdegnarti.
Sabina. Augusto, io torno in vita.
Adriano. Emirena vedesti? (a Sabina)
Sabina. Io te cercai.
Adriano. Emirena dov’è? (ad Aquilio)
Aquilio. Ne corro in traccia,
né ancor m’avvengo in essa.
Adriano. Misera principessa! (in atto di partire)
Sabina. Odi. E non miri
come cresce l’incendio? Ah! tu non pensi
al riparo, signor.
Adriano. Le accese mura
si dirocchino, Aquilio, acciò non passi
alle intatte la fiamma. (con fretta, come sopra)
Aquilio. All’opra io volo. (parte)
Sabina. Ma, Cesare...
Adriano. (Che pena!) (con impazienza)