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atto primo 245


Non puoi senza periglio

piú differir.
Cleonice.   Misera me! Si vada
  (in atto di partire, e poi si ferma)
dunque a sceglier lo sposo. Oh Dio! Barsene,
manca il coraggio. Io sento
che alla ragion contrasta
dubbio il cor, pigro il piè. Chi mai si vide
piú afflitta, piú confusa,
piú agitata di me! (si getta a sedere)
Barsene.   Qual arte è questa
di tormentar te stessa, ove non sono
figurando sventure?
Cleonice.   È figurato
forse il dover, che mi costringe a farmi
serva fino alla morte a chi non amo?
a chi, forse chiedendo
con finto amor della mia destra il dono,
si duol che compra a caro prezzo il trono?
Barsene. È ver; ma il sacro nodo,
i reciprochi pegni
del talamo fecondo, il tempo e l’uso,
di due sposi discordi
il genio avverso a poco a poco in seno
cangia in amore o in amicizia almeno.
Cleonice. E se, tornando Alceste,
mi ritrovasse ad altro sposo in braccio,
che sarebbe di lui,
che sarebbe di me? Tremo in pensarlo.
Qual pentimento avrei
dell’incostanza mia! Qual egli avrebbe
intollerabil pena
di trovarmi infedele!
Le sue giuste querele,
le smanie sue, le gelosie, gli affanni,
ogni pensier sepolto,
tutto il suo cor gli leggerei nel volto.