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337 | atto secondo |
SCENA VII
Rodope e Learco.
a Nemesi men grata
la vittima sará: pubblico sia,
e sia solenne il sacrifizio. Andate:
in faccia al popol tutto
l’ara s’innalzi, e se le aduni intorno
la schiera vincitrice. Io resto intanto
in custodia del reo. (partono le baccanti e le amazzoni)
Learco. Cosí tiranna
Rodope non credei.
Rodope. Conosci, ingrato,
meglio la mia pietá. Finsi rigore,
per deluder l’insano
femminile furor.
Learco. Se dici il vero,
disponi del cor mio.
Rodope. Da te non bramo
un pattuito amor.
Learco. Forse non credi
i miei detti veraci?
Giuro agli dèi...
Rodope. Taci, Learco, taci.
Non voglio che ’l mio dono
ti costi uno spergiuro. Ecco: ti rendo
e libertade e vita. (lo scioglie)
Learco. Ma della tua pietá qual premio avrai?
Rodope. Giá premiata son io, ma tu nol sai.
Tu non sai che bel contento
sia quel dire: — Offesa sono:
lo rammento, — ti perdono,
e mi posso vendicar; —