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359 | atto terzo |
questo tormento.
(Issipile, piangendo, s’incammina lentamente alla nave, e va rivolgendosi a riguardar con tenerezza Giasone)
Giasone. Sposa, cosí mi lasci? Empio! Vorrei...
Fremo... Non ho consiglio.
Barbari dèi... (mentre Giasone va smaniando per la scena, esce frettolosa Eurinome)
SCENA IX
Eurinome e detti.
Learco. Sálvati, o madre.
Giasone. Ah, scellerata! A caso
(trattiene Eurinome)
qui non giungesti. Issipile, t’arresta.
Guardami, traditor. Libero appieno (a Learco)
rendi Toante, o la tua madre io sveno.
(Issipile si ferma a mezzo il ponte, e Giasone, impugnando uno stile, minaccia di ferire Eurinome)
Learco. Come!
Eurinome. Che fu?
Rodope. Qual cangiamento!
Learco. In lei
non punire i miei falli. Il tuo nemico
son io, Giasone.
Giasone. Il mio furor non lascia
luogo a consiglio. È mio nemico ognuno
che te non abborrisce. È rea costei
di mille colpe, e, se d’ogni altra ancora
fosse innocente, io non avrei rossore
d’averle ingiustamente il sen trafitto.
L’esser madre a Learco è un gran delitto.