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atto terzo 45
Che vuol? Mi ravvisò? Principe, ah! siamo

  (a Scitalce che giunge)
in gran periglio entrambi: ho gran sospetto
che Mirteo ci conosca. Ai detti audaci,
all’insolito sdegno, alle minacce
misteriose e tronche, io giurerei
ch’ei ci scoprí. Per questi istanti a pena,
ch’io parlo teco, a differir la pugna
indussi il suo furor.
Scitalce.   Rendimi il brando;
lasciami dunque in libertá.
Semiramide.   Vincendo,
che giovi a me, quando ei mi scopra? Ah! pensa
che all’estrema sventura
io ridotta sarei.
Scitalce.   Questa è tua cura.
Semiramide. Ma, se senza tuo danno
tu potessi salvarmi,
nol faresti, o crudel?
Scitalce.   La tua salvezza
non dipende da me.
Semiramide.   Da te dipende.
Odimi sol.
Scitalce.   Parla. (con disprezzo)
Semiramide.   E che vuoi ch’io dica,
se m’ascolti cosí? Fin ch’io ragiono,
placa quell’ira, o caro;
modera quel dispetto;
prometti di tacer.
Scitalce.   Parla: il prometto.
Semiramide. (M’assisti, Amor.)
Scitalce.   (Che mai può dirmi?)
Semiramide.   Or senti:
se la tua man mi porgi...
Scitalce. Che! la mia man?
Semiramide.   Rammenta