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fu la dolce sua compagna,
vola incerta, va smarrita
dalla selva alla campagna,
e si lagna, intorno al nido,
dell’infido cacciator.
Chiare fonti, apriche rive
piú non cerca, al dí s’invola
sempre sola, e sinché vive
si rammenta il primo amor.
ATTO SECONDO
SCENA I
che giá pronta è la mensa. (parte una guardia)
È giunto il tempo
che l’accortezza mia,
col morir di Scitalce, il grave inciampo
mi tolga d’un rivale, e m’assicuri
che mai scoprir non possa
la sua voce, il mio scritto
quanto Sibari un dí finse in Egitto.
Ircano. E pure il giungerò. Dov’è Scitalce?
Ov’è Tamiri? È questo
il luogo della mensa?
Sibari. E qual furore
t’arma la destra?
Ircano. Io vo’ Scitalce estinto.
Sibari. (Ah! di costui lo sdegno
scompone il mio disegno.)
Ircano. Additami dov’è.
Sibari. Ma che farai?
Ircano. Che farò? Mi vedrai con questo acciaro
dell’ingiusto imeneo troncare il laccio.
Alla sua sposa in braccio
cadrá il rivale, andrá la mensa a terra,