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100 xii - demofoonte


Demofoonte.   E pur conviene...

Timante. Ne parleremo. Or per Dircea, signore,
sono al tuo piè. Quell’innocente vita
dona a’ prieghi d’un figlio.
Demofoonte.   E pur di lei
torni a parlar. Se l’amor mio t’è caro,
questa impresa abbandona.
Timante.   Ah! padre amato,
non ti posso ubbidir. Deh! se giammai
il tuo paterno affetto
son giunto a meritar; se, adorno il seno
d’onorate ferite, alle tue braccia
ritornai vincitor; se i miei trionfi,
del tuo sublime esempio
non tardi frutti, han mai saputo alcuna
esprimerti dal ciglio
lagrima di piacer; libera, assolvi
la povera Dircea. Misera! Io solo
parlo per lei; l’abbandonò ciascuno;
non ha speme che in me. Sarebbe, oh Dio!
troppa inumanitá, senza delitto,
nel fior degli anni suoi, su l’are atroci
vederla agonizzar; vederle a rivi
sgorgar tiepido il sangue
dal molle sen; del moribondo labbro
udir gli ultimi accenti; i moti estremi
degli occhi suoi... Ma tu mi guardi, o padre!
tu impallidisci! Ah! lo conosco: è questo
un moto di pietá. (s’inginocchia)
 Deh! non pentirti:
secondalo, o signor. No, finché il cenno
onde viva Dircea, padre, non dái,
io dal tuo piè non partirò giammai.
Demofoonte.   Principe (oh sommi dèi!), sorgi. E che deggio,
creder di te? Quel nominar con tanta
tenerezza Dircea, queste eccessive