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atto secondo 109


          Felice etá dell’oro,

     bella innocenza antica,
     quando al piacer nemica
     non era la virtú!
          Dal fasto e dal decoro
     noi ci troviamo oppressi,
     e ci formiam noi stessi
     la nostra servitú. (parte)

SCENA IX

Atrio del tempio d’Apollo. Magnifica, ma breve scala, per cui si ascende al tempio medesimo, la parte interna del quale è tutta scoperta agli spettatori, se non quanto ne interrompono la vista le colonne che sostengono la gran tribuna. Veggonsi l’are cadute, il fuoco estinto, i sacri vasi rovesciati, i fiori, le bende, le scuri e gli altri stromenti del sagrifizio sparsi per le scale e sul piano; i sacerdoti in fuga, i custodi reali inseguiti dagli amici di Timante, e per tutto confusione e tumulto.

Timante, che, incalzando disperatamente per la scala alcune guardie, si perde fra le scene. Dircea, che, dalla cima della scala medesima, spaventata lo richiama. Siegue breve mischia, col vantaggio degli amici di Timante; e, dileguati i combattenti, Dircea, che rivede Timante, corre a trattenerlo, scendendo dal tempio.

Dircea. Santi numi del cielo,

difendetelo voi! Timante, ascolta;
Timante! ah! per pietá...
Timante. (tornando affannato con ispada alla mano)
 Vieni, mia vita,
vieni: sei salva!
Dircea.   Ah, che facesti!
Timante.   Io feci
quel che dovea.
Dircea.   Misera me! Consorte,
oh Dio! tu sei ferito. Oh Dio! tu sei
tutto asperso di sangue.