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atto secondo 113


Demofoonte.   Numi possenti,

che ascolto mai! L’incominciato rito
sospendete, o ministri. Ostia novella
sceglier convien. Perfido figlio! e queste
son le belle speranze
ch’io nutriva di te? Cosí rispetti
le umane leggi e le divine? In questa
guisa tu sei della vecchiezza mia
il felice sostegno? Ah!...
Dircea.   Non sdegnarti,
signor, con lui: son io la rea; son queste
infelici sembianze. Io fui, che troppo
mi studiai di piacergli; io lo sedussi
con lusinghe ad amarmi; io lo sforzai
al vietato imeneo con le frequenti
lagrime insidiose.
Timante.   Ah! non è vero:
non crederle, signor. Diversa affatto
è l’istoria dolente. È colpa mia
la sua condescendenza. Ogni opra, ogni arte
ho posta in uso. Ella da sé lontano
mi scacciò mille volte; e mille volte
feci ritorno a lei. Pregai, promisi,
costrinsi, minacciai. Ridotto alfine
mi vide al caso estremo: in faccia a lei
questa man disperata il ferro strinse,
volli ferirmi; e la pietá la vinse.
Dircea. E pur...
Demofoonte.   Tacete! (Un non so che mi serpe
di tenero nel cor, che, in mezzo all’ira,
vorrebbe indebolirmi. Ah! troppo grandi
sono i lor falli; e debitor son io
d’un grand’esempio al mondo
di virtú, di giustizia.) Olá! costoro
in carcere distinto
si serbino al castigo.