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atto primo 147


ti destina il senato; e lá si vuole

che fra divini onori
anche il nume di Tito il Tebro adori.
Publio. Quei tesori che vedi,
delle serve province annui tributi,
all’opra consacriam. Tito non sdegni
questi del nostro amor pubblici segni.
Tito. Romani, unico oggetto
è dei voti di Tito il vostro amore;
ma il vostro amor non passi
tanto i confini suoi,
che debbano arrossirne e Tito e voi.
Piú tenero, piú caro
nome che quel di padre
per me non v’è; ma meritarlo io voglio,
ottenerlo non curo. I sommi dèi,
quanto imitar mi piace,
abborrisco emular. Li perde amici
chi li vanta compagni, e non si trova
follia la piú fatale
che potersi scordar d’esser mortale.
Quegli offerti tesori
non ricuso però: cambiarne solo
l’uso pretendo. Udite. Oltre l’usato
terribile il Vesevo ardenti fiumi
dalle fauci eruttò; scosse le rupi;
riempie’ di ruine
i campi intorno e le cittá vicine.
Le desolate genti
fuggendo van; ma la miseria opprime
quei che al fuoco avanzâr. Serva quell’oro
di tanti afflitti a riparar lo scempio.
Questo, o romani, è fabbricarmi il tempio.
Annio. Oh vero eroe!
Publio.   Quanto di te minori
tutti i premi son mai, tutte le lodi!