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154 xiii - la clemenza di tito


SCENA IX

Servilia e detti.

Servilia.   Di Tito al piè...

Tito.   Servilia! Augusta!
Servilia. Ah! signor, sí gran nome
non darmi ancora: odimi prima. Io deggio
palesarti un arcan.
Tito.   Publio, ti scosta,
ma non partir. (Publio si ritira)
Servilia.   Che del cesareo alloro
me, fra tante piú degne,
generoso monarca, inviti a parte,
è dono tal, che desteria tumulto
nel piú stupido core. Io ne comprendo
tutto il valor. Voglio esser grata, e credo
doverlo esser cosí. Tu mi scegliesti,
né forse mi conosci. Io, che, tacendo,
crederei d’ingannarti,
tutta l’anima mia vengo a svelarti.
Tito. Parla.
Servilia.   Non ha la terra
chi piú di me le tue virtudi adori:
per te nutrisco in petto
sensi di meraviglia e di rispetto.
Ma il cor... Deh! non sdegnarti.
Tito.   Eh! parla.
Servilia.   Il core,
signor, non è piú mio: giá da gran tempo
Annio me lo rapí. L’amai che ancora
non comprendea d’amarlo, e non amai
altri finor che lui. Genio e costume
uní l’anime nostre. Io non mi sento
valor per obbliarlo. Anche dal trono