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172 xiii - la clemenza di tito


Io, che ad altro, se veglio,

fuor che alla gloria sua pensar non oso;
che, in mezzo al mio riposo,
non sogno che il suo ben; che, a me crudele,
per compiacere a lei,
sveno gli affetti miei, m’opprimo in seno
l’unica del mio cor fiamma adorata!
Oh patria! oh sconoscenza! oh Roma ingrata!

SCENA IX

Sesto, Tito e Servilia.

Sesto. (Ecco il mio prence. Oh, come

mi palpita, al mirarlo, il cor smarrito!)
Tito. Sesto, mio caro Sesto, io son tradito!
Sesto. (Oh rimembranza!)
Tito.   Il crederesti, amico?
Tito è l’odio di Roma. Ah! tu che sai
tutti i pensieri miei, che senza velo
hai veduto il mio cor, che fosti sempre
l’oggetto del mio amor, dimmi se questa
aspettarmi io dovea crudel mercede!
Sesto. (L’anima mi trafigge e non sel crede.)
Tito. Dimmi: con qual mio fallo
tant’odio ho mai contro di me commosso?
Sesto. Signor...
Tito.   Parla.
Sesto.   Ah! signor, parlar non posso.
Tito. Tu piangi, amico Sesto: il mio destino
ti fa pietá. Vieni al mio seno. Oh, quanto
mi piace, mi consola
questo tenero segno
della tua fedeltá!