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atto primo 13
Coro.   Coro. Oh care selve! oh cara

     felice libertà!
Argene.   Qui gl’innocenti amori
     di ninfe. (s’alza da sedere)
  Ecco Aristea.
Aristea.   Siegui, o Licori.
Argene. Giá il rozzo mio soggiorno
torni a render felice, o principessa?
Aristea. Ah! fuggir da me stessa
potessi ancor, come dagli altri. Amica,
tu non sai qual funesto
giorno per me sia questo.
Argene. È questo un giorno
glorioso per te. Di tua bellezza
qual può l’età futura
prova aver più sicura? A conquistarti
nell’olimpico agone
tutto il fior della Grecia oggi s’espone.
Aristea. Ma chi bramo non v’è. Deh! si proponga
men funesta materia
al nostro ragionar. (siede Aristea) Siedi, Licori:
gl’interrotti lavori
riprendi, e parla. Incominciasti un giorno
a narrarmi i tuoi casi. Il tempo è questo
di proseguirli. Il mio dolor seduci:
raddolcisci, se puoi,
i miei tormenti, in rammentando i tuoi.
Argene. Se avran tanta virtù, senza mercede
non va la mia costanza. (siede) A te giá dissi
che Argene è il nome mio, che in Creta io nacqui
d’illustre sangue, e che gli affetti miei
fûr più nobili ancor de’ miei natali.
Aristea. So fin qui.
Argene.   De’ miei mali
ecco il principio. Del cretense soglio
Licida il regio erede