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atto terzo 189


Ma, Sesto, mi ferisci

nel piú vivo del cor. Vedi che troppo
tu l’amicizia oltraggi
con questo diffidar. Pensaci. Appaga
il mio giusto desio. (con impazienza)
Sesto. (Ma qual astro splendeva al nascer mio!)
  (con impeto di disperazione)
Tito. E taci? e non rispondi? Ah! giá che puoi
tanto abusar di mia pietá...
Sesto.   Signore....
sappi dunque... (Che fo?)
Tito.   Siegui.
Sesto.   (Ma quando
finirò di penar?)
Tito.   Parla una volta:
che mi volevi dir?
Sesto.   Ch’io son l’oggetto
dell’ira degli dèi; che la mia sorte
non ho piú forza a tollerar; ch’io stesso
traditor mi confesso, empio mi chiamo;
ch’io merito la morte e ch’io la bramo.
Tito. (ripiglia l’aria di maestá)
Sconoscente! e l’avrai! Custodi! il reo
toglietemi dinanzi. (alle guardie, che saranno uscite)
Sesto.   Il bacio estremo
su quella invitta man...
Tito. (nol concede)  Parti.
Sesto.   Fia questo
l’ultimo don. Per questo solo istante
ricòrdati, signor, l’amor primiero.
Tito. Parti; non è piú tempo. (senza guardarlo)
Sesto.   È vero, è vero!
          Vo disperato a morte;
     né perdo giá costanza
     a vista del morir.