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14 xi - olimpiade
fu la mia fiamma, ed io la sua. Celammo

prudenti un tempo il nostro amor; ma poi
l’amor s’accrebbe, e, come in tutti avviene,
la prudenza scemò. Comprese alcuno
il favellar de’ nostri sguardi: ad altri
i sensi ne spiegò. Di voce in voce
tanto in breve si stese
il maligno rumor, che ’l re l’intese.
Se ne sdegnò, sgridonne il figlio; a lui
vietò di più vedermi, e col divieto
glien’accrebbe il desio; ché aggiunge il vento
fiamme alle fiamme, e più superbo un fiume
fanno gli argini opposti. Ebro d’amore
freme Licida, e pensa
di rapirmi e fuggir. Tutto il disegno
spiega in un foglio: a me l’invia. Tradisce
la fede il messo, e al re lo reca. È chiuso
in custodito albergo
il mio povero amante. A me s’impone
che a straniero consorte
porga la destra. Io lo ricuso. Ognuno
contro me si dichiara. Il re minaccia:
mi condannan gli amici: il padre mio
vuol che al nodo acconsenta. Altro riparo
che la fuga o la morte
al mio caso non trovo. Il men funesto
credo il più saggio, e l’eseguisco. Ignota
in Elide pervenni. In queste selve
mi proposi abitar. Qui fra pastori
pastorella mi finsi, e or son Licori:
ma serbo al caro bene
fido in sen di Licori il cor d’Argene.
Aristea. In ver mi fai pietà. Ma la tua fuga
non approvo però. Donzella e sola,
cercar contrade ignote,
abbandonar...