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238 xiv - achille in sciro


giusto è che siegua anch’io. Se troppo osai,

il costume m’assolva.
Licomede.   Eccede i segni
sí generosa cura.
Achille.   (Oh ciel, che miro!)
  (avvedendosi d’un’armatura, che venne fra’ doni)
Licomede. Mai non si tinse in Tiro
porpora piú vivace. (ammirando le vesti)
Teagene. (ammirando i vasi)  Altri finora
sculti vasi io non vidi
di magistero egual.
Deidamia. (ammirando le gemme) L’eoa marina
non ha lucide gemme al par di quelle.
Achille. Ah, chi vide finora armi piú belle!
  (si leva, per andare a veder piú da vicino le armi)
Deidamia. Pirra, che fai? Ritorna
agl’interrotti carmi.
Achille. (Che tormento crudele!) (torna a sedere)
Di dentro.   All’armi! all’armi!

S’ode grande strepito d’armi e di stromenti militari. Tutti si levano spaventati: solo Achille resta, sedendo in atto feroce.
Licomede. Qual tumulto è mai questo?

Arcade. (esce, simulando spavento)  Ah! corri Ulisse,
corri l’impeto insano
de’ tuoi seguaci a raffrenar.
Ulisse. (fingendo esser sorpreso)  Che avvenne?
Arcade. Non so per qual cagion fra lor s’accese
e i custodi reali
feroce pugna. Ah! qui vedrai fra poco
lampeggiar mille spade.
Deidamia.   Aita, o numi!
dove corro a celarmi? (parte intimorita)
Teagene. Férmati, principessa. (parte, seguendola)
Di dentro.   All’armi! all’armi!

S’ode strepito d’armi. Licomede, snudando la spada, corre al tumulto. Fugge ognuno. Ulisse si ritira in disparte con Arcade ad osservare Achille, che si leva, giá invaso d’estro guerriero.