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250 xiv - achille in sciro


Deidamia.   Pensi? non parli? e fisse

tieni le luci al suol?
Achille.   Che dici, Ulisse?
  (ad Ulisse, quasi con timore)
Ulisse. Che, signor di te stesso,
puoi partir, puoi restar; che a me non lice
premer piú questo suolo;
che a venir ti risolva, o parto solo.
Achille. (Che angustia!)
Deidamia.   E ben, rispondi.
Achille.   Io resterei,
ma... udisti? (accennandole Ulisse)
Ulisse.   E ben, risolvi.
Achille.   Io verrei teco,
ma... vedi? (accennandogli Deidamia)
Deidamia.   Eh! giá comprendo:
giá di partir scegliesti.
Va’ ingrato! Addio! (mostrando partire)
Achille. (seguendola)  Ferma, Deidamia!
Ulisse.   Intendo:
hai la dimora eletta.
Resta, imbelle! io ti lascio. (mostrando partire)
Achille.   Ulisse, aspetta!
Deidamia. Che vuoi?
Ulisse.   Che brami?
Achille.   A compiacerti...
  (a Deidamia, poi da sé)
  (Oh stelle!
è debolezza.) (ad Ulisse) A seguitarti... (Oh numi!
è crudeltá.) Sí, ma la gloria esige...
No, l’amor mio non soffre... Oh gloria! oh amore!
Arcade. (È dubbio ancor chi vincerá quel core.)
Deidamia. E ben, giacché ti costa
sí picciola pietá pena sí grande,
piú non la chiedo. Or da te voglio un dono
che è piú degno di te. Parti; ma prima