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atto primo | 271 |
sta nel nostro ignorar. Questi, ogni fallo
usi a lodar ne’ grandi, il suo timore
chiamâr prudenza, ed affermâr che un figlio
nascerebbe da te, che il trono a lui
dovea rapir. Nasce il tuo Ciro, e a morte,
oh barbara follia!
su la fede d’un sogno il re l’invia.
Né gli bastò. Perché mai piú non fosse
il talamo fecondo
a te di prole e di timori a lui,
esule il tuo consorte
scaccia lungi da te. Vedi a qual segno
può acciecar questa insana
vergognosa credenza.
Mandane. Eh! non è sogno
che ormai l’ottava messe
due volte germogliò, da che perdei,
nato appena, il mio Ciro. Oggi l’attendo,
e mi speri tranquilla?
Arpalice. In te credei
piú moderato almeno
questo materno amor. Perdesti il figlio
nel partorirlo, ed il terz’anno appena
compievi allora oltre il secondo lustro:
in quella etá s’imprime
leggiermente ogni affetto.
Mandane. Ah! non sei madre;
perciò... Ma non è quello
Arpago, il padre tuo? Sí. Forse ei viene...
Arpago...