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atto primo 273


Arpalice.   Basta cosí, t’intendo:

     giá ti spiegasti appieno,
     e mi diresti meno,
     se mi dicessi piú.
          Meglio parlar tacendo:
     dir molto in pochi detti
     de’ violenti affetti
     è solita virtú. (parte)

SCENA III

Mandane e Arpago.

Mandane. Ed Astiage non viene! Arpago, io vado

ad affrettarlo. Ah, fosse
il mio sposo presente! Oh Dio, qual pena
sará per lui, nel doloroso esiglio,
saper trovato il figlio,
non poterlo veder! Tutte figuro
le smanie sue; gli sto nel cor.
Arpago.   Mandane,
odi: taci il segreto e ti consola.
Cambise oggi vedrai.
Mandane.   Cambise! E come?
Arpago. Di piú non posso dirti.
Mandane.   Ah! mi lusinghi,
Arpago.
Arpago.   No: sulla mia fé riposa:
tel giuro, oggi il vedrai.
Mandane.   Vedrò lo sposo?
l’unico, il primo oggetto
del tenero amor mio, che giá tre lustri
piansi invano e chiamai?
Arpago.   Sí.
Mandane.   Numi eterni,