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atto secondo | 309 |
quella tenera etá. Povera madre!
Se madre ha pur, quando saprá che il figlio
lacero il sen da mille colpi... Oh. folle
ch’io son! gli altri compiango
e mi scordo di me. Mora l’indegno!
se ne affligga chi vuole. Il figlio mio
vendicato esser dee. Son madre anch’io.
Arpalice. Principessa, ah! perdona
l’impazienze mie. D’Alceo che avvenne?
è assoluto? è punito? è giusto? è reo?
Mandane. Deh! per pietá, non mi parlar d’Alceo.
Quel nome se ascolto,
mi palpita il core;
se penso a quel volto,
mi sento gelar.
Non so ricordarmi
di quel traditore,
né senza sdegnarmi,
né senza tremar. (parte)
SCENA XII
Arpalice sola.
d’Alceo darmi novella? Io non ho pace
se il suo destin non so. Ma tanto affanno
troppo i doveri eccede
d’un grato cor. Che? D’un pastore amante
Arpalice sarebbe! Eterni dèi,
da tal viltá mi difendete. Io dunque,
germe di tanti eroi... No, no; rammento
quel che debbo a me stessa. E pur quel volto
mi sta sempre sugli occhi. Ah! chi mi toglie,