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atto terzo 315


SCENA II

Mandane, poi Arpago.

Mandane. A quale eccesso arriva

l’arte di simular! Prestansi il nome
oggi fra lor gli affetti; onde i sinceri
impeti di natura
chi nasconder non sa, gli applica almeno
a straniera cagion. Pietá d’amico,
zelo di servo il suo paterno affanno
volea costui che mi paresse; e quasi
mi pose in dubbio. Ah! la sventura mia
dubbia non è: qual piú sicura prova
che d’Arpago il silenzio? Un tale amico,
che il suo perdé per il mio figlio, a cui
noto è il mio duol, della cui fé non posso
dubitar senza colpa, a che m’avrebbe
taciuto il ver? No, Mitridate infido,
con le menzogne tue, della vendetta
non mi turbi il piacer. Cosí tornasse
Cambise ad avvertirmi
che Alceo spirò!
Arpago. (frettoloso)  Né qui lo veggo. Ah! dove,
dove mai si nasconde?
Mandane.   Arpago amato,
che cerchi?
Arpago.   Alceo. Se nol ritrovo, io perdo
d’ogni mia cura il frutto.
Mandane.   Altro non brami?
Non agitarti: io so dov’è.
Arpago.   Respiro,
lode agli dèi! Deh! me l’addita: è tempo
che al popolo si mostri. Altro non manca
che presentarlo.