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316 xv - ciro riconosciuto


Mandane.   O generoso amico,

veggo il tuo zel. Con pubblica vendetta
t’affanni a soddisfarmi: io ti son grata.
Ma giungi tardi: a vendicarmi io stessa
giá pensai.
arpago.   Contro chi?
Mandane.   Contro l’infame
uccisor del mio Ciro.
Arpago.   Intendi Alceo?
Mandane. Sí.
Arpago.   Guárdati, Mandane,
di non tentar nulla a suo danno: Alceo
è il figlio tuo.
Mandane.   Che!
Arpago.   Tel celai, temendo
che i materni trasporti il gran segreto
potessero tradir.
Mandane.   Come! Ed è vero...
Arpago. Non dubitar. Tu sai
se ingannarti poss’io. Ciro è in Alceo;
l’educò Mitridate; io gliel recai;
l’ucciso è un impostor. Serena il volto:
la tua doglia è finita.
Mandane. Santi numi del ciel, soccorso! aita! (vuol partire)
Arpago. Dove? Ascolta...
Mandane.   Ah! corriam... Son morta! Io sento
stringermi il cor. (si appoggia ad un tronco; poi siede)
Arpago.   Tu scolorisci in volto!
sudi! tremi! vacilli!
Mandane.   Arpago... Ah! vanne;
vola di Trivia al fonte; il figlio mio
salva, difendi: ei forse spira adesso.
Arpago. Come!
Mandane.   Ah! va’, ché l’uccide il padre istesso!
Arpago. Possenti numi! (parte in fretta)