Pagina:Metastasio, Pietro – Opere, Vol. III, 1914 – BEIC 1885240.pdf/51

Da Wikisource.

atto secondo 45


io volea dirgli. Ei mi prevenne. — Aminta,

ho vissuto abbastanza —
sospirando mi disse
dal profondo del cor. — Senz’Aristea
non so viver, né voglio. Ah! son due lustri
che non vivo che in lei. Licida, oh Dio!
m’uccide e non lo sa. Ma non m’offende:
suo dono è questa vita; ei la riprende.—
Licida. Oh amico! E poi?
Aminta.   Fugge da me, ciò detto,
come partico stral. Vedi quel sasso,
signor, colá, che il sottoposto Alfeo
signoreggia ed adombra? Egli v’ascende
in men che non balena. In mezzo al fiume
si scaglia: io grido invan. L’onda percossa
balzò, s’aperse: in frettolosi giri
si riuní, l’ascose. Il colpo, i gridi
replicaron le sponde; e piú nol vidi.
Licida. Ah, qual orrida scena,
or si scopre al mio sguardo! (rimane stupido)
Aminta.   Almen la spoglia,
che albergò sí bell’alma,
vadasi a ricercar. Da’ mesti amici
questi a lui son dovuti ultimi uffici. (parte)

SCENA XIV

Licida e poi Alcandro.

Licida. Dove son! Che m’avvenne! Ah! dunque il cielo

tutte sopra il mio capo
rovesciò l’ire sue. Megacle, oh Dio!
Megacle, dove sei? Che fo nel mondo
senza di te? Rendetemi l’amico,
ingiustissimi dèi! Voi mel toglieste: