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50 xi - olimpiade


Alcandro.   In questo istante

rinasce il padre tuo.
Aristea.   Come!
Alcandro.   Che orrore,
che ruina, che lutto,
se ’l ciel non difendea, n’avrebbe involti!
Aristea. Perché?
Alcandro.   Giá sai che, per costume antico,
questo festivo dí con un solenne
sacrifizio si chiude. Or, mentre al tempio
venia fra’ suoi custodi
la sacra pompa a celebrar Clistene,
perché non so, né da qual parte uscito,
Licida impetuoso
ci attraversa il cammin. Non vidi mai
piú terribile aspetto. Armato il braccio,
nuda la fronte avea, lacero il manto,
scomposto il crin. Dalle pupille accese
uscia torbido il guardo; e per le gote,
d’inaridite lagrime segnate,
traspirava il furore. Urta, rovescia
i sorpresi custodi; al re s’avventa.
— Mori! — grida fremendo; e gli alza in fronte
il sacrilego ferro.
Aristea.   Oh Dio!
Alcandro.   Non cangia
il re sito o color. Severo il guardo
gli ferma in faccia, e in grave suon gli dice:
— Temerario! che fai? — Vedi se il cielo
veglia in cura de’ re! Gela a que’ detti
il giovane feroce. Il braccio in alto
sospende a mezzo il colpo; il regio aspetto
attonito rimira; impallidisce;
incomincia a tremar; gli cade il ferro;
e dal ciglio, che tanto
minaccioso parea, prorompe il pianto.