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52 xi - olimpiade


quando pria ti mirai, che tu non eri

cosa mortal! Va’, mio conforto.
Aristea.   Ah! basta,
non fa d’uopo di tanto.
Un sol de’ guardi tuoi
mi costringe a voler ciò che tu vuoi.
          Caro, son tua cosí,
     che, per virtú d’amor,
     i moti del tuo cor
     risento anch’io.
          Mi dolgo al tuo dolor,
     gioisco al tuo gioir,
     ed ogni tuo desir
     diventa il mio. (parte)

SCENA III

Megacle ed Argene.

Megacle. Deh! secondate, o numi,

la pietá d’Aristea. Chi sa se il padre
però si placherá. Troppa ragione
ha di punirlo, è ver; ma della figlia
lo vincerá l’amore. E se nol vince?
Oh Dio! potessi almeno
veder come l’ascolta. Argene, io voglio
seguitarla da lungi.
Argene.   Ah! tanta cura
non prender di costui. Vedi che ’l cielo
è stanco di soffrirlo. Al suo destino
lascialo in abbandono.
Megacle. Lasciar l’amico! Ah! cosí vil non sono.
          Lo seguitai felice,
     quand’era il ciel sereno;