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72 xii - demofoonte

nulla informato, volò sollecitamente alla reggia. Giuntovi, e compreso il pericoloso stato di sé e della sua Dircea, volle scusarsi e difenderla; ma le scuse appunto, le preghiere, le smanie e le violenze, alle quali trascorse, scopersero al sagace re il loro nascosto imeneo. Timante, come colpevole d’aver disubbidito il comando paterno nel ricusar le nozze di Creusa e d’essersi opposto con l’armi a’ decreti reali; Dircea, come rea d’aver contravvenuto alla legge del regno nello sposarsi a Timante, son condannati a morire. Sul punto d’eseguirsi l’inumana sentenza, risentí il feroce Demofoonte i moti della paterna pietá, che, secondata dalle preghiere di molti, gli svelsero dalle labbra il perdono. Fu avvertito Timante di cosí felice cambiamento; ma, in mezzo a’ trasporti della sua improvvisa allegrezza, è sorpreso da chi gli scopre con indubitate prove che Dircea è figlia di Demofoonte. Ed ecco che l’infelice, sollevato appena dalla oppressione delle passate avversitá, precipita piú miseramente che mai in un abisso di confusione e d’orrore, considerandosi marito della propria germana. Pareva ormai inevitabile la sua disperazione, quando, per inaspettata via, meglio informato della vera sua condizione, ritrova non esser egli il successore della corona, né il figlio di Demofoonte, ma bensí di Matusio. Tutto cambia d’aspetto. Libero Timante dal concepito orrore, abbraccia la sua consorte; trovando Demofoonte in Cherinto il vero suo erede, adempie le sue promesse, destinandolo sposo alla principessa Creusa; e, scoperto in Timante quell’innocente usurpatore, di cui l’oracolo oscuramente parlava, resta disciolto anche il regno dall’obbligo funesto dell’annuo crudel sagrifizio (Hygin., ex Philarch., lib. ii).