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92 xii - demofoonte


Dircea.   Aimè!

Matusio. (snuda la spada)  Difenderò col ferro
la paterna ragion.
Timante. (fa lo stesso)  Col ferro anch’io
la mia difenderò.
Dircea. (si frappone)  Prence che fai?
Férmati, o genitor!
Matusio.   Empio! impedirmi
che al crudel sacrifizio una innocente
vergine io tolga?
Dircea.   (Oh dèi!)
Timante.   Ma dunque...
Dircea. (piano a Timante, fingendo trattenerlo)  (Ah! taci.
Nulla sa: m’ingannai.)
Matusio.   Volerla oppressa!
Dircea. (Io quasi per timor tradii me stessa.)
Timante. Signor, perdona: ecco l’error. Ti vidi
verso lei, che piangea, correr sdegnato;
tempo a pensar non ebbi; opra pietosa
il salvarla credei dal tuo furore.
Matusio. Dunque la nostra fuga
non impedir. La vittima, se resta,
oggi sará Dircea.
Dircea.   Stelle!
Timante.   Dall’urna
forse il suo nome uscí?
Matusio.   No; ma l’ingiusto
tuo padre vuol quell’innocente uccisa
senza il voto del caso.
Timante.   E perché tanto
sdegno con lei?
Matusio.   Per punir me, che volli
impedir che alla sorte
fosse esposta Dircea; perché produssi
l’esempio suo; perché l’amor paterno
mi fe’ scordar d’esser vassallo.