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110 | xvii - zenobia |
SCENA V
Zenobia e Tiridate.
signor? Férmati. (a Radamisto, seguendolo)
Tiridate. Ingrata!
giá t’involi da me?
Zenobia. Principe... Oh Dio!
ti pregai d’evitarmi.
Tiridate. Ah! quale arcano
mi si nasconde? Ubbidirò; ma dimmi
perché mi fuggi almen.
Zenobia. Tutto saprai
pria di quel che vorresti. Addio.
Tiridate. Perdona,
deggio seguirti.
Zenobia. Ah! no.
Tiridate. Pur or ti vidi
in troppo gran periglio. Io non conosco
chi t’assalí, chi ti difese, e sola
lasciarti in rischio a gran rossor mi reco.
Zenobia. Il mio rischio piú grande è l’esser teco.
(partendo)
Tiridate. Ma ch’io non possa almen... (volendo seguirla)
Zenobia. Lasciami in pace;
per pietá lo domando. È questa vita
dono della tua man; grata ti sono:
perché, signor, vuoi funestarmi il dono?
Pace una volta e calma
lascia ch’io trovi almen;
non risvegliarmi in sen
guerra e tempesta:
tempesta, in cui quest’alma
potria smarrirsi ancor;
guerra, che al mio candor
saría funesta. (parte)