Pagina:Metastasio, Pietro – Opere, Vol. IV, 1914 – BEIC 1885923.djvu/125

Da Wikisource.

atto terzo 119


fummo capaci. Apprenderá la terra

che, nato in nobil core,
frutti sol di virtú produce amore.
Tiridate. Corri, vola, Mitrane: a noi conduci
libero Radamisto. (Mitrane parte)
  Oh, come volgi,
gran donna, a tuo piacer gli altrui desiri!
Un’altra ecco m’inspiri
spezie d’ardor, che il primo estingue. Invidio
giá il tuo gran cor; bramo emularlo; ho sdegno
di seguirti sí tardo: altro mi trovo
da quel che fui. Non t’amo piú: t’ammiro,
ti rispetto, t’adoro; e, se pur t’amo,
della tua gloria amante,
dell’onor tuo geloso,
imitator de’ puri tuoi costumi,
t’amo come i mortali amano i numi.
Zenobia. Grazie, o dèi protettori! Or piú nemici
non ha la mia virtú: vinsi il piú forte,
ch’era il pensier del tuo dolor. Va’, regna,
prence, per me: ne sei ben degno.
Tiridate.   Ah! taci:
non m’offender cosí. Prezzo io non chiedo,
cedendo la cagion del mio bel foco;
e, se prezzo chiedessi, un regno è poco.

SCENA ULTIMA

Egle, poi Radamisto con Mitrane, e detti.

Egle. Lascia, amata germana,

lascia che a questo seno...
Zenobia.   Egle, che dici?
quai sogni?
Egle.   Egle non piú: la tua perduta
Arsinoe io son. Questa vermiglia osserva