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226 xix - antigono


il padre è in libertá. Fra le sue braccia

volo a rendere intero il mio conforto. (parte)
Demetrio. Grazie, o dèi protettori! eccomi in porto.
  (lascia Alessandro)
Clearco. Che ci resta a sperar?
Alessandro.   (Qual nero occaso,
barbara sorte, a’ giorni miei destini!)
Demetrio. Del dover se i confini (ad Alessandro)
troppo, o signor, l’impeto mio trascorse,
perdono imploro: inevitabil moto
furon del sangue i miei trasporti; io stesso
piú me non conoscea. Moriva un padre:
non restava a salvarlo
altra via da tentar. Sí gran cagione
se non è scusa al violento affetto,
ferisci: ecco il tuo ferro, ecco il mio petto!
  (rende la spada ad Alessandro)
Alessandro. Sí, cadi, empio!... Che fo? Punisco un figlio,
perché al padre è fedel? trafiggo un seno,
che inerme si presenta a’ colpi miei?
Ah! troppo vil sarei. M’offese, è vero;
mi potrei vendicar; ma una vendetta
cosí poco contesa
mi farebbe arrossir piú che l’offesa.
          Benché giusto, a vendicarmi
     il mio sdegno invan m’alletta:
     troppo cara è la vendetta,
     quando costa una viltá.
          Giá di te con piú bell’armi
     il mio cor vendetta ottiene
     nello sdegno che ritiene,
     nella vita che ti dá. (parte con Clearco)