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52 xvi - temistocle


e mi giova l’error. Con questa speme

Serse m’ascolterá. La Persia io bramo
spettatrice al grand’atto, e di que’ sensi,
che per Serse ed Atene in petto ascondo,
giudice io voglio e testimonio il mondo.
Neocle. (Oh noi perduti!)
Aspasia.   (Oh me dolente!) (piangono)
Temistocle.   Ah, figli,
qual debolezza è questa! A me celate
questo imbelle dolor. D’esservi padre
non mi fate arrossir. Pianger dovreste
s’io morir non sapessi.
Aspasia.   Ah! se tu mori,
noi che farem?
Neocle.   Chi resta a noi?
Temistocle.   Vi resta
della virtú l’amore,
della gloria il desio,
l’assistenza del ciel, l’esempio mio.
Aspasia. Ah! padre...
Temistocle.   Udite. Abbandonarvi io deggio
soli, in mezzo a’ nemici,
in terreno stranier, senza i sostegni
necessari alla vita, e delle umane
instabili vicende
non esperti abbastanza; onde, il preveggo,
molto avrete a soffrir. Siete miei figli:
rammentatelo, e basta. In ogni incontro
mostratevi con l’opre
degni di questo nome. I primi oggetti
sian de’ vostri pensieri
l’onor, la patria e quel dovere a cui
vi chiameran gli dèi. Qualunque sorte
può farvi illustri, e può far uso un’alma
d’ogni nobil suo dono
fra le selve cosí, come sul trono.