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74 xvii - zenobia


di Zenobia e di lui; pensai che allora

l’avrei difesa invan; lei mi dipinsi
fra le braccia al rival; tremai; m’intesi
gelar le vene ed avvampar; perdei
ogni uso di ragion; non fui capace
piú di formar parole;
fosca l’aria mi parve e doppio il sole.
Zopiro. E che facesti?
Radamisto.   Impetuoso, insano,
strinsi l’acciar: della consorte in petto
l’immersi, indi nel mio. Di vita priva
nell’Arasse ella cadde, io su la riva.
Zopiro. Principessa infelice!
Radamisto.   Io, per mia pena,
al colpo sopravvissi. A’ miei nemici
mi celò la caduta. Al nuovo giorno
pietosa man mi sollevò, mi trasse...
Ma tu non m’odi, e torbido nel volto
pensi fra te! So che vuoi dir: stupisci
che mi sostenga il suol, che queste rupi
non mi piombin sul capo. Ah! son punito:
è giusto il ciel. M’han consegnato i numi,
per castigo a me stesso, al mio crudele
tardo rimorso.
Zopiro.   (A trucidar quest’empio
non basto sol.)
Radamisto.   So che aprir deggio il varco
a quest’anima rea; ma pria vorrei
trovar l’amata spoglia,
darle tomba e morir. L’ombra insepolta
erra per queste selve. Io me la veggo
sempre sugli occhi: io non ho pace. Andiamo,
andiamo a ricercar... (incamminandosi)
Zopiro. (arrestandolo)  Ferma! che dici?
Circondano i nemici
ogni contorno, e il tenteresti invano.