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Che ogni loco entro e fuor guarda e osserva.
All’isola così cittade e rocca
Son di presidio, e a quella e a questa
Sue difese prestar può l’isoletta.
     Or tutto questo s’approntò pei giorni
Ch’arde la guerra, e gli animosi petti,
Per la patria a pugnar chiama la tromba.
Ma allor che arriva, redimita il crine
Di verde ulivo, a passeggiar la terra,
Pace col niveo piede, allor ben d’altre
Cure si allieta il core. Allora è bello
Sovr’ampia stesa di terren, piantato
D’alberi molti, deliziar lo sguardo;
Ovver, seduto su marmorei scanni,
Sotto l’ombra del portico ospitale,
Le fughe contemplar de’ colonnati
E l’erbe, e l’onde, e il cielo azzurro e terso.
Quà le viti, coi teneri lor tralci,
Han tanto cor d’inerpicarsi fino
Dove l’annosa quercia si biforca.
Altra più umìl sen vien su da uno sfondo,
E lar che all’erba e al portico sì dica:
Amici, aita, a voi mi raccomando.
Vicin, sul lungo margine d’un rio,
L’alber Cotogno ed il gentil germoglio
Del Dittamo vi fondano radici;
E l’Avellana che i suoi dolci umori
Ognor di molta e fosca ombra circonda.
Siffatte stirpi di Canèa la terra
Spedì da Creta al nostro Lazio, dopo
Il don de’ la faretra micidiale.
D’altri poscia cespugli una infinita