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Pagina:Misteri di polizia - Niceforo, 1890.djvu/20

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1814; troppo imbevuto delle massime dell’ottantanove che gli avevano procurato processure e condanne perchè egli potesse obliarle d’un tratto; egli, nel suo ufficio di capo supremo della polizia del granducato, fu sempre temperato, avverso alle misure precipitate, osteggiatore, nè debole, della invadente reazione, anche perchè con Ferdinando III, principe mite, tollerante, ritornato in Toscana senza propositi di vendette, non occorreva cancellare con rigori reazionari il suo passato di giacobino. E quando la reazione, balda della vittoria riportata, infuriava dappertutto, e gli stessi liberali cambiata coccarda e coscienza inneggiavano alla restaurazione e domandavano con insistenza da voltacasacche che l’idolo che la vigilia avevano adorato fosse bruciato, il Puccini seppe trovare la nota giusta, la nota dell’uomo imparziale. Al Cerboni, che procuratore del Re a Pisa ed uomo d’idee e propositi tolleranti si lamentava come certuni non domandassero al nuovo governo che misure violente, il Puccini, in data del 31 maggio 1814, rispondeva: — „I principi della sua lettera sono precisamente quelli stessi del regio governo e perciò non manchi mai di dirigersi su questi. Già anche l’esperienza di pochi giorni mi aveva istruito a tagliare almeno per la metà tutti i rapporti in molti articoli esagerati, o dal riscaldamento o dalla pusillanimità.„

Ma dove l’animo mite del Puccini si mostrò in tutta la sua pienezza fu in seguito ai movimenti rivoluzionari del 1820-21. Allora quasi tutta l’Italia era in pieno sconvolgimento: soldati che venivano meno al loro giuramento; congiure che si trasformavano dalla sera alla mattina in rivoluzioni; principi, che dopo di avere odiato la libertà ed inalzato le forche per farla sparire dalla faccia della terra, chiamavano Dio in testimonio della sincerità della fede con che per l’avvenire l’avrebbero mantenuta e difesa. Spenta, in seguito, la libertà, dal tradimento dei principi e dalla prepotenza straniera ed imperversando la reazione, che dappertutto trionfava colle forche, colle fucilazioni, colla galera, coll’esilio, il Puccini, quando poteva ingraziarsi i tirannelli italiani e il loro pedagogo, il principe di Metternich,