Pagina:Misteri di polizia - Niceforo, 1890.djvu/89

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ticolo 54 della legge del 1786 prescriveva che l’illustrissimo signor presidente del Buon Governo, per le trasgressioni ed i delitti puniti in via economica, non potesse applicare la multa che sino a lire cento, il carcere sino ad un mese e l’esilio sino a sei, salvo il ricorso al Granduca e la sospensione degli atti ove gl’imputati domandassero la procedura ordinaria. Come ognuno può vedere, erano queste facoltà assai limitate e diremmo quasi illusorie in molti casi, imperocchè bastava che l’imputato, specie se non militavano contro di lui che semplici sospetti, chiedesse la procedura ordinaria, perchè quella economica restasse di diritto annullata. Ma il rescritto parlava chiaro, ed il Ciantelli tragugiandolo come un’amara medicina, facendo per un momento buon viso all’avversa fortuna e rimangiandosi il suo famoso rapporto a don Neri, il giorno 21 agosto condannò i due Guerrazzi e l’Orsini alla pena del carcere d’un mese per ciascuno; e siccome allora sotto ogni poliziotto si trovava un Tartufo, così il Ciantelli aggiunse nel suo decreto che quella pena, così mite in rapporto al delitto perpetrato, si applicava colla veduta di ricondurre i colpevoli, per la via della dolcezza, alla retta via!...

Fu il canto del cigno. Pochi giorni dopo, quella caricatura del principe di Canosa, col grado di commendatore e quindici mila lire toscane di pensione, era posto fuori dell’uscio.

I fiorentini, a quella notizia, furono presi come da un delirio. La tranquilla Firenze di Leopoldo II di Lorena sembrò divenuta per un momento la Firenze del duca d’Atene e di Michele Lando; centinaia e centinaia di cittadini corsero in piazza Pitti a ringraziare il Granduca. Naturalmente la gioia popolare trasmodò. Non s’era stati per nulla penosamente per circa tre anni sotto l’incubo-Ciantelli, perchè cessato questo, si potesse frenare e misurare la gioia pubblica. Si corse di qua e di là per la città avvicendando alle grida di Viva Leopoldo II, quelle di Morte al Ciantelli. Alcuni buontemponi, ricordandosi che nelle loro vene scorreva il sangue di coloro che fecero parte